Il punto di riferimento del Value Investing, in un contesto di ambiente economico in continuo cambiamento, è quello di confrontare il valore intrinseco attuale (stimato) con il valore di mercato. Il valore intrinseco (o fondamentale) riflette la realtà operativa dell’azienda nelle condizioni correnti e le opportunità di crescita realizzabili sulla base dei progetti già deliberati; questo valore esclude possibili efficientamenti e/o sinergie. Non è un valore di possibile negoziazione, ma è un valore astratto, che discende dalla capacità specifica dell’oggetto di valutazione di generare benefici economici.
Il valore intrinseco è diverso dal valore di mercato, che invece è un valore stimato con l’obiettivo di approssimare un prezzo verosimile di negoziazione tra soggetti indipendenti che operano in modo informato, prudente e senza obblighi particolari di comprare o vendere. Il valore di mercato a sua volta non è da confondere con il prezzo di mercato, che invece rappresenta il corrispettivo effettivo richiesto, offerto o pagato per acquisire una attività.
Questo punto di riferimento consente agli investitori di scegliere i titoli migliori nell’universo di quelli selezionabili, ovvero quelli con il margine di sicurezza più ampio.
Nonostante questa metodologia possa sembrare estremamente semplice, la sua esecuzione non lo è affatto. Il calcolo del valore intrinseco di una società richiede estrema professionalità e competenze e, inoltre, non assicurano un risultato certo.
Per semplificare la metodologia, possiamo concludere che gli investimenti value consistono nell’acquisto di titoli azionari ad un prezzo più basso del loro valore intrinseco, in attesa di una futura conversione tra i due. Questa metodologia, tuttavia, si scontra con l’ipotesi di mercati efficienti.
Come è possibile acquistare aziende sottovalutate se i mercati sono efficienti?
Per rispondere, è utile prima comprendere cosa significa che i mercati sono efficienti. L’ipotesi del mercato efficiente, nel contesto dell’economia finanziaria, sostiene che i prezzi delle attività riflettano tutte le informazioni disponibili. In poche parole, secondo la teoria dei mercati efficienti, non sarebbe possibile per un investitore condurre analisi per ottenere performance superiori alla media di mercato senza accettare rischi superiori alla media del mercato.
Burton Gordon Malkiel, noto economista e scrittore americano, per sostenere la teoria di un mercato completamente imprevedibile, ha suggerito che uno scimpanzé bendato che lancia freccette sulle pagine di borsa sarebbe in grado di selezionare un portafoglio con performance pari a quelle di esperti del settore.
Pertanto, se le nuove informazioni emergono casualmente, anche i prezzi di mercato lo faranno, rendendo imprevedibile il mercato azionario, ad eccezione della sua tendenza rialzista di lungo periodo.
Se queste ipotesi fossero vere, la strategia migliore sarebbe quella di evitare la selezione di singoli titoli e di optare per l’acquisto di fondi a gestione passiva, con l’unico obiettivo di replicare l’indice azionario di riferimento.
Ma è davvero così?
Da diversi anni molti economisti finanziari hanno messo in discussione l’ipotesi di mercato efficiente. Almeno ex post, sembrano esserci diversi casi in cui i prezzi di mercato non sono riusciti a riflettere le informazioni disponibili. Inoltre, periodi di irrazionalità su larga scala, come la bolla tecnologica di internet, ha convinto molti analisti a ritenere che l’ipotesi di mercato efficiente debba essere respinta.
Tuttavia, sorge un po’ di scetticismo su alcuni fatti.
Se i prezzi di mercato fossero in qualche modo inefficienti, i gestori attivi, fortemente incentivati a superare gli investitori passivi, dovrebbero essere in grado di produrre extra-rendimenti rispetto a questi ultimi. In altre parole, se i prezzi fossero spesso irrazionali e i rendimenti del mercato azionario prevedibili, i fondi di investimento attivi dovrebbero superare più frequentemente i fondi passivi, che mirano solo a replicare un indice di riferimento.
Beh, sappiamo che questo non è ciò che accade. Sono numerosissime le ricerche che mostrano che, mediamente, i gestori attivi non sono in grado di battere i benchmark di riferimento.
Perché allora il gestore attivo medio sottoperforma rispetto al benchmark? La risposta è semplice: a causa dell’impatto dei costi di gestione. I fondi comuni di investimento, in media, hanno un regime commissionale di circa 150 punti base, mentre i fondi indicizzati possono essere gestiti con un indice di spesa inferiore ai 20 punti base.
Inoltre, i gestori attivi hanno spesso un turnover del portafoglio molto elevato, fino al 100% all’anno. Il trading comporta costi aggiuntivi come commissioni di intermediazione, spread e impatto sul mercato. La sottoperformance dei gestori attivi rispetto all’indice di mercato può essere ampiamente attribuita a questi costi aggiuntivi, che incidono notevolmente sui rendimenti.
Ci sono gestori attivi che superano il benchmark, ma è impossibile prevedere in anticipo chi saranno. Le performance passate non sono indicatori affidabili di rendimenti futuri. Il frequente turnover di portafoglio aumenta i costi di transazione, danneggiando le performance.
Quindi, se è vero che i mercati sono efficienti e i fondi attivi non riescono a battere il mercato, devo correre a comprare ETF?
Beh, capire che l’acquisto di un ETF che replica un indice equivale ad ottenere il rendimento medio di mercato non è complicato. Tuttavia, il rendimento medio di mercato, per definizione, non è né la migliore né la peggiore delle soluzioni. Equivale, in sostanza, ad avere un rendimento mediocre.
C’è però un altro aspetto importante da considerare in questa analisi. La teoria dei mercati efficienti, per rimanere valida e quindi preservare l’equilibrio del mercato, necessita di soggetti che ne definiscano valutazioni e prezzi. Se nessuno più selezionasse attivamente le azioni, le informazioni che gli stock picker dovrebbero comunicare non si rifletterebbero più nei prezzi e, di conseguenza, i mercati diventerebbero meno efficienti.
Ciò creerebbe l’opportunità di individuare titoli sottoprezzati in un universo di azioni che non hanno subito eccessivi rialzi a causa della concentrazione degli investimenti in fondi indicizzati. Tali titoli sarebbero quindi selezionati da investitori sofisticati alla ricerca di extra-rendimenti, riportando i mercati in equilibrio.
In sintesi, i mercati efficienti esistono se vi sono investitori capaci di equilibrare specifiche anomalie di prezzo attraverso le loro analisi e lo stock picking. In altre parole, queste inefficienze tenderanno ad annullarsi solo se resta attiva una certa percentuale di stock picker, che faranno convergere il mercato verso l’equilibrio.
In conclusione, se non ci fossero investitori alla ricerca di valore, i mercati cesserebbero di essere efficienti e, quindi, l’acquisto di ETF non sarebbe necessariamente la soluzione migliore.
Il nostro modo di intendere l’efficienza dei mercati
I mercati sono effettivamente efficienti, ma non nel senso comune del termine.
La nostra visione sull’efficienza dei mercati è diversa. In sostanza, i mercati sono efficienti perché capaci di incorporare rapidamente nei prezzi tutte le informazioni disponibili, ma ciò non implica che le quotazioni siano sempre corrette.
In altre parole, gli investitori lavorano intensamente per valutare ogni nuova informazione, quindi i prezzi delle azioni riflettono immediatamente la visione collettiva degli investitori sulle informazioni che emergono costantemente. Tuttavia, questa visione collettiva non è necessariamente sempre esatta.
Prendiamo come esempio il titolo Netflix: il 19 novembre 2021 era quotato a $604, mentre il 21 gennaio 2022 (due mesi dopo) era scambiato a $351. Sostenere che il mercato avesse ragione in entrambe le occasioni è illusorio. Almeno in una di quelle due occasioni deve essere stato inefficiente. Questo non significa che molti investitori siano stati capaci di identificare e sfruttare l’errore del mercato per approfittare dell’inefficienza.
Il punto essenziale è che, anche se i mercati più efficienti possono contenere valutazioni errate, un investitore che utilizza le stesse informazioni di tutti gli altri è soggetto alle stesse influenze psicologiche. Di conseguenza, non è facile mantenere costantemente un punto di vista diverso dal consenso generale, anche se potrebbe essere più corretto. Questo rende i mercati estremamente difficili da superare, anche quando non sono sempre efficienti.
La chiave per avere successo nei mercati è possedere capacità analitiche avanzate unite a una buona dose di senso comune. Nei mercati non vince chi fa le previsioni migliori, ma chi si adatta meglio e chi è in grado di posizionarsi dalla parte dove c’è un miglior rapporto rischio/rendimento. Non è necessario avere sempre ragione, perché ciò sarebbe impossibile.
A proposito, c’è una famosa frase di Robert Leroy Mercer, uno dei migliori gestori di hedge fund al mondo, ex ricercatore e co-CEO di Renaissance Technologies, la nota società di investimento di Jim Simons. Se non conosci Jim Simons, sappi che è considerato il numero uno nel settore. Mercer diceva: “Abbiamo ragione il 50,75% delle volte… ma abbiamo ragione al 100% il 50,75% delle volte… Puoi guadagnare miliardi in questo modo”.