La mano visibile: i mercati finanziari di oggi

Dopo il discorso di Powell a Jackson Hole alcuni commentatori hanno parlato di “via libera al rally delle borse”. Noi non condividiamo questa lettura.

Powell ha sottolineato come la Fed si trovi oggi a un bivio. La banca centrale statunitense ha due obiettivi principali: piena occupazione e inflazione stabile intorno al 2%. Attualmente ci si attende una leggera prosecuzione della crescita inflattiva e, al tempo stesso, un indebolimento del mercato del lavoro con una riduzione dell’occupazione.

Il nodo è che questi due obiettivi richiedono politiche monetarie opposte. Powell è stato chiaro: in questa fase la Fed considera più rilevanti i rischi sul mercato del lavoro e si orienterà quindi verso una linea più espansiva per stimolare l’economia.

Il mercato del lavoro americano presenta oggi un tasso di disoccupazione del 4.2% (che non è particolarmente elevato), ma anche un tasso di partecipazione in calo, in parte per effetto delle politiche migratorie restrittive dell’amministrazione Trump.

Powell ha inoltre ricordato che i tassi si trovano circa 100 punti base sopra il livello neutrale, stimato attorno al 3.25%. In altre parole, l’attuale livello di politica monetaria è restrittivo e, col tempo, dovrebbe raffreddare la crescita economica. Per questo la Fed ha iniziato a preparare i mercati a un primo taglio dei tassi a settembre.

E qui sta il punto: per i mercati azionari questo annuncio non rappresenta una sorpresa. Il taglio era già ampiamente atteso e prezzato, e il discorso di Powell ha solo aumentato le probabilità di un intervento imminente (rendendolo praticamente certo)

Per questo motivo non condividiamo frasi come “si può dare il via al rally delle borse” solo perché il presidente della Fed ha confermato ciò che i mercati già sapevano. Questo tipo di ragionamento rischia di essere fuorviante e dannoso per la gestione dei portafogli.

Questo come sempre non vuol dire che i listini non possono continuare a salire, ma che operazioni rialziste oggi, messe in atto per questa motivazione, risultano essere assai in ritardo. 

Inoltre un taglio dei tassi di interesse di soli 0.25 punti percentuali non avrà un impatto immediato e diretto sull’economia reale. Le decisioni di politica monetaria, infatti, agiscono con un ritardo significativo (spesso stimato in 12-18 mesi) prima di manifestarsi pienamente su inflazione e produzione.

Il vero impatto immediato di una mossa come questa si avverte a livello speculativo e sulle aspettative degli operatori di mercato. Oggi, il canale di trasmissione più rapido è proprio quello delle aspettative. I mercati finanziari, agendo per anticipare le future decisioni della banca centrale, “scontano” già in anticipo gli effetti attesi. Questo fenomeno può amplificare o smorzare l’impatto reale delle decisioni prese.

In questa epoca continuiamo a credere che siano i mercati finanziari a dettare la narrativa economica di un paese, se i mercati vanno male, i problemi vengono a galla, se i mercati vanno bene i problemi rimangono sotto al tappeto e vengono enfatizzate le notizie positive.

Un esempio di questa dinamica è l’attuale situazione. Nonostante Powell dichiari che potrebbero esserci problemi nel mercato del lavoro statunitense, non si avverte un allarmismo diffuso perché l’attenzione è focalizzata sulle politiche espansive che piacciono agli investitori “rialzisti”. Tuttavia, se seguissimo questa logica, circa un anno fa si sarebbe dovuto iniziare a “scontare” che politiche restrittive avrebbero potuto portare a un raffreddamento dell’economia, ma questo non è accaduto.

La ragione, come sostiene il nostro stratega Antonio Cioli Puviani, è che “gli incoscienti giovani” continuano a comprare ogni ribasso e indirizzano la narrazione economica tramite il trend di mercato.

Ora, con il cambio di politica monetaria, ci si potrebbe aspettare un ritorno dell’inflazione, soprattutto perché i lavoratori potrebbero, tramite i sindacati, chiedere aumenti salariali preventivi per sopperire a un potere d’acquisto che si aspettano scendere. Tuttavia, come ha evidenziato anche Jerome Powell, questo scenario è improbabile dato l’attuale numero di disoccupati: i lavoratori non hanno un grande potere contrattuale da sfruttare sulle imprese, e ciò contribuisce a evitare una nuova spirale inflazionistica.

Il quadro che si potrebbe delineare è quello di una inflazione lievemente al rialzo e un mercato del lavoro stimolato dalle aspettative di politiche più espansive. Queste aspettative sono alimentate, soprattutto, dalla possibilità che un presidente della Fed “trumpiano” si insedi a metà 2026. L’ingerenza del presidente americano sulla Fed, infatti, non si ferma: ha licenziato in questi giorni Lisa Cook, uno dei sette membri del Board della Fed che, insieme al presidente e ad altri quattro presidenti delle Federal Reserve Banks, forma il FOMC e prende le decisioni. 

Al momento, la Cook sembra aver chiesto la sospensione immediata del licenziamento e il giudizio su questa vicenda non dovrà essere di merito, ma si concentrerà sulla questione molto dibattuta se un presidente USA possa o meno licenziare i membri della Fed.

Le domande da porsi sono: quanto una così marcata ingerenza piace agli investitori? L’utilizzo della finanza per la rielezione fino a che punto non sarà giudicato “rischioso” per la salute dei mercati finanziari?

La Cina è limitata nell’attrarre capitali esteri proprio per il totale controllo dei mercati da parte del governo. Lungi da noi paragonare il modello cinese a quello americano, ma mentre si pensava che la Cina si sarebbe occidentalizzata (un percorso che sicuramente sta seguendo), questo potrebbe essere un segnale di “orientalizzazione” dell’Occidente (da un particolare punto di vista)

Allora questa mano visibile trumpiana, fino a che punto sarà giudicata positiva? La risposta scontata è: fino a che i mercati saliranno.

Questo è un laissez-faire al contrario: non dei privati, ma del governo.

Per i nostri portafogli di investimento bilanciati, in allineamento con le situazioni che si stanno presentando e le valutazioni degli asset, procederemo ad un graduale ridimensionamento dell’esposizione sugli asset più rischiosi. Questo serve per non farci cogliere impreparati da possibili turbolenze che diventano sempre più inaspettate, dato che l’attuale normalità è il prosieguo del trend rialzista. 

Nell’attuale contesto, preferiamo quindi approcci più prudenti e diversificati. A tal fine, utilizziamo asset non correlati tra loro, come anche oro e materie prime. Questo tipo di asset servono a far fronte sia all’indebolimento del sistema valutario, con la perdita di potere d’acquisto e il deterioramento dei conti pubblici, sia a una guerra mondiale frammentata. 

Quest’ultima si gioca sempre più sul piano economico, con la creazione artificiale di shock all’offerta nella maggior parte dei casi. Tali shock riguardano quasi sempre le materie prime, tramite il blocco o la minaccia di blocco delle rotte commerciali marittime e terrestri.

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