I raid israeliani su obiettivi militari e nucleari in territorio iraniano hanno dato avvio a un’escalation pericolosa, che ha visto Teheran rispondere con attacchi missilistici e minacce dirette contro obiettivi nella regione.
Tuttavia, nonostante il rischio geopolitico evidente, i mercati azionari sembrano ancora scommettere su un’escalation limitata e gestibile.
Perché?
Il motivo, per quanto possa sembrare riduttivo, è uno solo: l’inflazione negli Stati Uniti.
Sì, può apparire una visione semplicistica, ma è ciò che il comportamento degli investitori ci sta dicendo.
Procediamo con ordine e partiamo da un presupposto fondamentale.
Negli ultimi anni, i mercati hanno sviluppato una resilienza al rischio geopolitico purché confinato a regioni periferiche. L’epoca delle “guerre frammentate” ha abituato gli investitori a convivere con conflitti localizzati, fintanto che questi non generano effetti diretti sui flussi energetici globali, sull’inflazione o sulla crescita economica delle economie sviluppate.
Per questo, finché il conflitto rimane circoscritto al Medio Oriente, l’impatto sui listini resta contenuto.
Il punto critico, oggi, è la minaccia americana all’Iran. Trump ha chiesto la cessazione immediata delle ostilità da parte di Teheran, lasciando intendere che un mancato ritiro potrebbe giustificare un intervento diretto degli USA.
È qui che lo scenario si complica: un coinvolgimento americano renderebbe altamente probabile un blocco, o almeno una minaccia credibile, dello Stretto di Hormuz, da cui transita circa il 20% del greggio mondiale.
Nel caso di blocco dello stretto, il prezzo del petrolio, già salito in area 72 dollari al barile in seguito agli ultimi attacchi, potrebbe schizzare rapidamente innescando un nuovo shock energetico.
Per l’amministrazione Trump, un aumento significativo del prezzo del petrolio sarebbe un problema enorme. In questa fase, la priorità è capire l’effetto reale dei dazi imposti sulle importazioni, una misura voluta da Trump come strumento di protezione industriale.
Finora l’inflazione ha retto: la domanda interna non è particolarmente forte e molte aziende hanno fatto scorte prima dell’introduzione delle tariffe, evitando rincari immediati sui beni al consumo.
Ma un aumento significativo del prezzo del petrolio si tradurrebbe in un rincaro immediato dei costi di trasporto, produzione e consumo, alimentando nuovamente le aspettative inflazionistiche.
Questa escalation, non solo sul piano militare ma anche economico, impedirebbe quindi all’amministrazione statunitense di attuare il proprio programma di politica fiscale e renderebbe impraticabile per la Federal Reserve un allentamento della politica monetaria attraverso tagli ai tassi di interesse.
I mercati azionari stanno scommettendo sulla razionalità. Non perché il conflitto non sia pericoloso, ma perché un’escalation militare USA–Iran comporterebbe un danno diretto agli interessi economici americani.
Il punto chiave, per gli investitori, resta l’eventualità di un attacco diretto da parte degli Stati Uniti. Finché Washington si limita alla retorica e alle minacce, i mercati possono continuare a puntare su uno scenario di contenimento. Ma nel caso in cui gli USA dovessero colpire direttamente l’Iran, il quadro cambierebbe sensibilmente: gli operatori inizierebbero a prezzare con maggiore concretezza il rischio di una chiusura dello Stretto di Hormuz.
A quel punto, si aprirebbe la possibilità di un evento a bassa probabilità ma ad alto impatto, con conseguenze potenzialmente significative: un forte rialzo del prezzo del petrolio, nuove pressioni inflattive e una maggiore volatilità sui mercati azionari, che potrebbero reagire in modo improvviso e disordinato.
Si tratta di un evento chiaramente “estremo”, ma che, per la sua natura asimmetrica, modifica in modo netto il profilo rischio-rendimento dei mercati azionari, rendendo oggi gli acquisti di breve termine decisamente meno interessanti. Questo non significa che si debbano liquidare le posizioni già in portafoglio, ma chi valuta nuovi ingressi con un’ottica speculativa di breve termine si troverebbe ad agire in un contesto decisamente sfavorevole.
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