Su un volo interno da Pechino a Shanghai operato da Air China, sfogliando una rivista trovo una pubblicità (non un articolo informativo, proprio una pubblicità) di un’azienda che produce supercomputer.
Questo già dice molto sulla volontà della società (Cina) di costruire un’identità di brand forte e un posizionamento credibile in un mercato che nei prossimi anni diventerà sempre più centrale, e che per gli esperti lo è già oggi.
Ecco la pubblicità:

La pubblicità recita:
Raggiungere nuovi traguardi nella potenza di calcolo dei cluster, costruire insieme un ecosistema cinese aperto e inclusivo per l’industria informatica intelligente.
Si tratta di un sistema di supercalcolo (un super-cluster) specializzato per l’Intelligenza Artificiale, prodotto dall’azienda cinese Sugon (fondata nel 1996).
Un cluster, in termini tecnici, è un gruppo di computer interconnessi che lavorano coordinandosi per eseguire operazioni che richiedono una potenza di calcolo molto elevata, caratteristica ormai essenziale per l’AI.
Al di là della tecnologia, colpisce l’enfasi sull’ecosistema cinese. Per una società di quel Paese, questa identificazione con lo Stato è del tutto naturale, perché non esiste una reale separazione tra economia e politica industriale.
Gli Stati Uniti e l’Occidente in generale hanno un sistema economico strutturato in modo diverso (come ben sappiamo), ma “oggi” l’amministrazione Trump sta annunciando un intervento diretto dello Stato in aziende legate all’AI e al supercalcolo, oltre a finanziamenti a player come TSMC, storicamente basata a Taiwan, per costruire infrastrutture produttive sul suolo americano.
In sintesi, se da un lato il modello socialista cinese si è nel tempo avvicinato a quello occidentale, dall’altro adesso sono gli Stati Uniti ad adottare strumenti tipicamente “socialisti” (passateci il termine) per evitare di essere superati nella corsa tecnologica globale, che ormai rappresenta Supremazia in tutti i campi.
Il ragionamento strategico è semplice: se ho un vantaggio competitivo (gli USA per la posizione storicamente dominante) e il mio avversario utilizza una strategia che può ridurre questo divario, mi basta adottare la stessa strategia per mantenere la mia posizione. Se andrà bene, cresceremo entrambi ma io manterrò il vantaggio iniziale, se andrà male, perderemo entrambi ma io un po’ meno.
Questa è la linea strategica americana, mentre protezionismo e accentramento delle decisioni rappresentano la linea tattica con cui essa viene implementata.
Trump e Xi si contendono terre rare e semiconduttori proprio come due giocatori lottano per la palla in campo.
I palloni in partita sono due, terre rare e semiconduttori.
La Cina possiede circa il 35% delle terre rare globali a livello di sottosuolo, ma domina in modo ancora più netto nella produzione e nella lavorazione, visto che circa il 70% avviene proprio nel Paese del Dragone. Gli Stati Uniti seguono con una quota compresa tra il 10% e il 15%, in forte crescita negli ultimi anni. Gli USA, per quanto riguarda le terre rare, dipendono ancora in larga misura dalle importazioni cinesi e per questo stanno cercando di diversificare i fornitori, ad esempio puntando sull’Australia.
L’altra componente essenziale dell’industria dell’AI sono i semiconduttori, e qui la partita si gioca tra tre attori (o due e mezzo, considerando l’influenza statunitense), dato che il 60% dei semiconduttori utilizzati nel mondo proviene da Taiwan, la famosa isola ormai di fatto nella sfera di controllo americana e al tempo stesso fortemente ambita dalla Cina.
(Taiwan è l’isola in cui si rifugiò il governo nazionalista di Chiang Kai-shek dopo la vittoria della rivoluzione comunista di Mao Zedong nel 1949)
Gli USA hanno bisogno delle terre rare cinesi, mentre la Cina ha bisogno dei semiconduttori taiwanesi, che passano in buona parte sotto l’ombrello statunitense. Questo rapporto di interdipendenza reciproca suggerisce che, pur tirando la corda, prima o poi sarà inevitabile un accordo commerciale tra Washington e Pechino.
Nel frattempo, la strategia americana, come già accennato, consiste nel portare TSMC e altri produttori di semiconduttori taiwanesi sul suolo statunitense, così da ridurre la necessità di contendersi l’isola con la Cina, evitare possibili blocchi agli approvvigionamenti e, chissà, forse un domani poterla anche lasciare al Dragone senza rischiare un conflitto mondiale (su questo punto dubitiamo più che sugli altri).
Inquadrare queste dinamiche non significa correre subito ad acquistare un ETF settoriale su semiconduttori e terre rare, ma valutare con attenzione una piccola esposizione in portafoglio verso aziende del settore.
Con un po’ di pazienza si potrebbe anche approfittare di eventuali sconti, poiché la forte volatilità mediatica del tema potrebbe generare ribassi temporanei qualora Cina e USA non raggiungessero un accordo su import ed export di chip e terre rare al momento del loro incontro del 30 ottobre.
Attenzione però alla vostra esposizione anche di riflesso (con aziende come le magnifiche 7/10) a questo settore. Data infatti l’elevata concentrazione dei rendimenti di cui parliamo spesso, basta avere un indice USA in portafoglio (con un peso relativamente alto) per essere già molto esposti a questo mercato.