Geopolitica e mercati: le nuove tendenze

La caduta del muro di Berlino nel 1989 ha sancito la fine della guerra fredda e l’inizio di un periodo di pace e collaborazione internazionale.

Certamente non sono mancati i conflitti e i passaggi drammatici, si pensi ad esempio all’11 settembre, ma questo non ha impedito l’instaurarsi di un clima di collaborazione e divisione internazionale del lavoro che ha prodotto una progressiva globalizzazione dell’economia.

Di questo dislocamento delle catene produttive su scala globale hanno beneficiato i consumatori in termini di maggiore efficienza e di riduzione dei costi di produzione.

La grande crisi del 2008 ha portato il sistema finanziario globale sull’orlo del fallimento ma non ha arrestato la globalizzazione dell’economia e il sostanziale clima di pace tra le grandi potenze della terra.

Per quanto riguarda la finanza, il 2008 ha decretato l’inizio di un periodo in cui le banche centrali hanno esercitato una crescente ingerenza nei mercati finanziari

Quello che era iniziato come un intervento volto a contenere gli effetti della crisi si è trasformato in una presenza stabile delle banche centrali nei mercati.

Fino al 2008 gli investitori guardavano con attenzione anche agli eventi geopolitici per gli effetti che questi avevano sui mercati in termini di impatto sul sentiment, sulla fiducia e sugli utili delle aziende. A partire dalla grande crisi finanziaria si è invece aperto un periodo in cui gli investitori si sono sostanzialmente disinteressati alle vicende geopolitiche e si sono focalizzati esclusivamente sulle azioni delle banche centrali.

Qualsiasi evento, anche rilevante, proveniente dal mondo reale veniva dopo poco tempo liquidato con una scrollata di spalle da investitori che avevano preso a ritenere che le decisioni delle banche centrali fossero le uniche ad avere un impatto sul prezzo degli asset.

In effetti, la liquidità creata dalle banche centrali ha avuto l’effetto di inflazionare gli asset finanziari indipendentemente da quello che succedeva nell’economia reale e nella sfera geopolitica.

Qualcosa cambia però in questo mondo globalizzato in cui i mercati sono guidati dalle banche centrali tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti del ventunesimo secolo.

Già nel 2016 la Brexit sembra rappresentare un colpo importante in termini di fiducia rispetto al modello di integrazione che si era andato costruendo negli anni precedenti. Con Trump è poi cominciata la guerra commerciale con la Cina che negli anni si era intanto affermata come l’unica potenza economica e commerciale in grado di rappresentare una vera minaccia per gli Stati Uniti.

Ma è con il 2020 che il mondo come l’abbiamo conosciuto negli ultimi decenni è cambiato, probabilmente per sempre. Prima si è sperimentata l’esperienza senza precedenti di un arresto completo dell’attività economica in occasione della pandemia che ha inceppato le catene produttive globali rivelando tutte le vulnerabilità di un modello di sviluppo in cui non si ha il controllo dei mercati di approvvigionamento di materie prime e componenti.

Poi, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la crisi in Medioriente originata dall’attacco di Hamas a Israele, è tramontata anche l’idea di un mondo sostanzialmente in pace. Inaspettatamente, la guerra è diventata una presenza costante anche nella vita di una generazione che non l’aveva mai conosciuta.

Tutto questo ha portato ad un processo di ripensamento della globalizzazione attraverso il quale si cerca di riportare le catene produttive a casa o comunque in paesi non ostili. Ecco, quindi, che paesi come il Vietnam, la Polonia, l’Indonesia e il Messico hanno assunto un peso maggiore per quanto concerne le produzioni di beni. Ripensare un modello che si è sviluppato in decenni non è però cosa facile in quanto bisogna porre in essere tutta una serie di infrastrutture e di strutture produttive adeguate.

Quasi certamente questo comporta un aumento dei costi di produzione e rende almeno in parte strutturale l’aumento dell’inflazione che abbiamo visto nell’ultimo periodo.

Qual è dunque l’impatto dei meccanismi che si sono innescati negli ultimi anni sulla dinamica dei prezzi di mercato?

È molto probabile che vi sia uno spostamento dell’attenzione degli investitori riguardo a quelli che sono i driver che influenzano l’andamento dei prezzi

Negli ultimi 15 anni l’unico driver sono state le banche centrali. Qualsiasi altra considerazione ha perso di importanza. 

Ora anche le vicende geopolitiche stanno riconquistando il centro della scena. Da una parte il mondo ha scoperto che la pace non può più essere data per scontata e dall’altra i paesi occidentali si sono accorti che il fatto che materie prime e catene produttive provengano da paesi che potrebbero rivelarsi avversari li rende in qualche modo vulnerabili. 

Se negli ultimi 15 anni gli investitori pendevano dalle labbra dei banchieri centrali, è probabile che nei prossimi anni il ruolo dei banchieri centrali si ridimensioni mentre assuma una ritrovata importanza il confronto geopolitico tra stati Uniti e Cina, la competizione per il controllo delle risorse e il processo che mira a ridisegnare la fisionomia delle catene produttive globali. L’economia reale e la dimensione geopolitica potrebbero riguadagnare quindi di importanza rispetto sfera meramente finanziaria.

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